Codice antimafia

Codice antimafia: Attenzione, niente passi indietro sulla lotta alle mafie
Il Coordinamento mantovano di "LIBERA. Associazioni nomi e numeri contro le mafie", (rete di oltre 1600 realtà nazionali e locali tra cui Agesci, Arci, Azione Cattolica, Acli, Gruppo Abele, Legambiente, Uisp) presenta l’appello che in questi giorni la rete di  LIBERA in collaborazione con AVVISO PUBBLICO (rete di Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie) ha lanciato  al Governo e al Parlamento per la proroga dei tempi di approvazione del Decreto Legislativo in materia di legislazione antimafia e l'introduzione di modifiche alle norme previste sul sequestro e la confisca dei beni alla criminalità organizzata:

“Il nostro Paese sta rischiando, in questi giorni, di fare un improvviso e imprevisto passo indietro nella lotta alle mafie, dopo gli importanti risultati raggiunti, anche dal punto di vista legislativo, negli ultimi anni (grazie, ad esempio, all'introduzione dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e all'approvazione di norme che hanno reso più efficace l'aggressione ai patrimoni criminali).
La proposta di decreto legislativo attualmente all'esame del Parlamento, conosciuto come "Codice antimafia", risulta, secondo Libera, non rispondere ai compiti affidati dal Parlamento al Governo con la legge delega approvata lo scorso anno.

La proposta di Codice antimafia non prevede, infatti, una completa ricognizione e armonizzazione della normativa penale, processuale e amministrativa vigente in materia di contrasto della criminalità organizzata: alcuni temi fondamentali non sono compresi - come quelli che riguardano i collaboratori di giustizia (nrd,  è necessario eliminare le lacune che continuano ad esserci nella legislazione attuale per i collaboratori di giustizia, per i quali vige il termine massimo dei 180 giorni per rendere le proprie confessioni, termine che si è dimostrato troppo breve per alcuni processi complessi); i testimoni di giustizia, (nrd, per i quali non è stata prevista quella assistenza e quell’accompagnamento da parte dello Stato che di diritto spetta loro, per aver onestamente denunciato fatti criminali di cui sono stati testimoni), le vittime della criminalità organizzata (nrd.  per le vittime dei reati di usura e racket non è ancora prevista una legge che faciliti la loro costituzione di parte civile in un processo di tipo penale), l'adeguamento alla normativa europea di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale (nrd, per esempio  manca la previsione di una legge nazionale che ratifichi la Convenzione di Strasburgo contro la corruzione, firmata dall’Italia nel 1999, come pure non è previsto l’adeguamento della normativa vigente alla decisione n. 783/2006 del Consiglio d’Europa che permette la confisca dei beni mafiosi situati in un paese comunitario, sulla base del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca )- mentre altri temi richiedono una riforma complessiva, che deve tener conto di norme più efficaci per contrastare fenomeni gravi d'illegalità, spesso connessi alle attività delle organizzazioni mafiose, quali il racket e l'usura, i delitti contro l'ambiente, il caporalato, la tratta degli esseri umani, l'autoriciclaggio (nrd., manca ancora la previsione del reato di autoriciclaggio, più volte sollecitato dal Procuratore nazionale antimafia e dal Governatore della Banca d’Italia come pure non sono state previste  norme specifiche che regolamentino l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza da un incarico pubblico qualora una persona sia rinviata a giudizio e condannata per gravi reati quali mafia, corruzione, traffico di droga, estorsione, usura ed altri, secondo le previsioni contenute nei codici di autoregolamentazione dei partiti approvati all’unanimità dalle Commissioni parlamentari antimafia del 2007 e del 2010).

Nella proposta sono contenute anche previsioni normative che, se approvate, rischierebbero seriamente di vanificare gli sforzi compiuti. Sono inserite, in particolare, alcune disposizioni che spezzettano l'articolo 416 bis (reato di associazione di tipo mafiosa) e non danno quelle chiare risposte, che ci si attendeva, nello specifico campo dei rapporti mafia - politica, mediante la rielaborazione dell'articolo 416 ter (nrd, attualmente viene considerato “scambio elettorale politico-mafioso” l’ottenimento del  voto a proprio favore in cambio di erogazione di denaro, formulazione che  ha avuto pochissimi riscontri nella realtà delle relazioni tra mafia e politica.  Nel nuovo testo dell’articolo 416-ter, insieme all’erogazione di denaro, va previsto che il reato sopra citato sussista anche quando vi è “la promessa di agevolare l’acquisizione di concessioni, autorizzazioni, appalti, contributi, finanziamenti pubblici o, comunque, la realizzazione di profitti e altre utilità”).

Preoccupa, in particolare, il termine massimo di un anno e sei mesi in appello che verrebbe introdotto per completare, dal punto di vista giudiziario, l'iter di sequestro e di confisca dei beni, scaduto il quale il lavoro svolto dalle forze dell'ordine e dalla magistratura verrebbe azzerato. Si tratta di una previsione francamente irragionevole, alla luce della esperienza ormai consolidata in materia (nrd, le indagini hanno sempre richiesto tempi superiori a questo nuovo limite temporale), che finirebbe per tradursi in una sorta di prescrizione generalizzata di tutte le misure di prevenzione patrimoniale nei confronti delle mafie.

Altrettanto preoccupanti e gravi, anche per le conseguenze di natura economica e occupazionale, sono le nuove norme previste in materia di liquidazione dei beni mobili, delle aziende o rami d'azienda e dei beni immobili, al fine di soddisfare i diritti dei creditori. Nella formulazione attuale, gli articoli del nuovo "Codice antimafia" costringerebbero gli amministratori giudiziari a sospendere tutti i contratti in essere e liquidare i compendi aziendali. Anche in questo caso, un principio condivisibile, ovvero la tutela dei diritti dei terzi, finisce per innescare una procedura che porta, di fatto, alla liquidazione e alla vendita delle aziende o rami d'azienda e anche dei beni immobili, assimilando il procedimento di prevenzione a quello previsto in sede fallimentare e snaturando i principi della legge n. 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati.
Il risultato, anche dal punto di vista della percezione da parte dei cittadini, sarebbe devastante: la mafia dà lavoro e lo Stato lo cancella. La strada da percorrere dovrebbe essere tutt'altra, tesa semmai a salvaguardare le aziende stesse e, soprattutto, l'occupazione.

Per queste ragioni rivolgiamo un forte appello al governo e a tutte le forze politiche presenti in Parlamento affinché si proceda a una profonda revisione dell'attuale testo del decreto legislativo - salvaguardando il sistema giuridico complessivo nato con la legge Rognoni La Torre  (nrd la legge che nel 1982 ha introdotto il reato di associazione mafiosa e il sequestro dei beni ai mafiosi). - e, a tal fine, si preveda innanzitutto un congruo periodo di tempo, in deroga a quanto stabilito dalla legge delega, per valutare e apportare tutte le necessarie modifiche, il più condivise possibile, prima della sua definitiva adozione. Vale la pena ricordare che proprio la legge delega in materia di "Codice antimafia" è stata approvata con voto unanime dal Parlamento, suscitando un'ampia aspettativa, che non può e non deve andare delusa.
Il rischio è di perdere un'occasione e di fare un passo indietro nella lotta alle mafie.”

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